... continua "TUTELA DELL'AMBIENTE E AGRICOLTURA BIOLOGICA: NOTE SUL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITÀ DA PRODOTTI AGRICOLI"
3. Una delle scelte sulla quale occorre riflettere è appunto quella, cui si ac cennava prima (v. il § 1), di avere sancito l'irresponsabilità del produttore agricolo in materia di «responsabilità per danno da prodotti difettosi» (artt. 2 n. 3 e art. 3 n. 2 del D.P.R. n. 224 dell'88). Agli Stati membri la direttiva 85/374 attribuiva il potere (art. 15) di estendere il regime di responsabilità dalla stessa previsto anche ai «prodotti agricoli naturali e della caccia» in deroga all'art. 2 dove si precisa che per prodotti agricoli naturali si intendono «i prodotti del suolo, dell'allevamento e della pesca, ad esclusione dei prodotti che hanno subito una prima trasfor-mazione»8. Il pragmatismo che contraddistingue il legislatore comunitario è accolto dal nostro legislatore (art. 3 n. 2 del cit. D.P.R.) che attribuisce la qualifica di produttore per quanto concerne i prodotti in discorso soltanto a chi «li abbia sottoposti a trasformazione», quindi anche all'imprenditore agricolo che esercita nei limiti di cui all'art. 2135 attività connesse alla trasformazione e commercializzazione. La deroga, per quanto concerne l'atti-vità agricola, riguarda, pertanto, soltanto le attività principali. È indifferente, cioè, per la Comunità che si tratti di imprenditori agricoli o commerciali allorché essi sottopongono a trasformazione i loro prodotti; ciò è quanto basta perché essi assumano la veste di produttori (art. 3 n. 2 del D.P.R. n. 224 e art. 3 della Direttiva) e quindi di destinatari della normativa. Fatta questa precisazione, si potrebbe pensare ad un ulteriore favor legislativo nei confronti dell'agricoltura-produzione essendo la scelta della «deroga » paragonabile ad una sorta di clausola generale legale di esonero da re-sponsabilità: essa pone molteplici problemi ed alimenta il dibattito assai ricco nella nostra letteratura sulla tutela del consumatore che, per quanto ri-guarda gli aspetti legati al consumo di prodotti alimentari pone ulteriori pro-blemi sia a livello legislativo che giurisprudenziale9; sì che appare assai dubbia, dal punto di vista dell'ordinamento interno e della compatibilita di questo con le scelte comunitarie e di altri paesi membri della CEE - in specie la Francia - la scelta della non estensione a fronte di un sistema normativo interno già assai fragile e confuso risalente ad una legge del 1962 (troppi anni per un settore qual è quello agroalimentare e dell'industria della trasformazione in rapida evoluzione a cui non riescono a tener testa i molti decreti ministeriali; e basterebbe pensare al solo problema delle etichettature) e a fronte di una chiara scelta del legislatore comunitario che àncora alle esigenze della protezione dei consumatori, in uno dei «considerando» della direttiva, la ragionevole discrezionalità degli Stati membri.
4. Ma, veniamo, in coerenza con le premesse di cui ai precedenti §§, al problema centrale dell'irragionevole/ovor. Un certo Gino Girolomoni fondatore dell'«azienda biologica» Alce Nero nelle Marche10, acquista nel 1961 da certo Ivo Totti di Gualtieri (Reggio Emilia) alcuni capi di bestiame allevati con principi biologici allo scopo, ovviamente, di creare un allevamento utilizzando i capi riproduttori e seguendo le stesse tecniche di tipo biologico. L'inizio di ciò che appare un raccontino... è in realtà la premessa per individuare il nuovo fondamento giuridico di un possibile e rinnovabile favor per l'impresa agricola anche di tipo zootecnico quando l'esercizio dell'attività agricola si svolge nel rispetto delle «ragioni dell'ambiente». Ciò che abbiamo definito come agricoltura dell'ambiente, (v. la nota 1). In questa prospettiva il facile accesso al denaro della collettività non si inserisce nella povertà etica del quadro ormai noto di un'agricoltura assistita ma in quello di un'agricoltura socialmente orientata: il denaro è restituito alla collettività in termini di tutela della salute pubblica e di salvaguardia dell'a-gro-eco-sistema. L'allevamento dei bovini allevati da Totti e Girolomoni (nomi che resteranno nella storia e non soltanto11 del ritorno dell'uomo all'agricoltura biologica) con principi biologici sta a significare in poche parole che l'attività di coltivazione presupposta è condotta con criteri biologici (bando ai concimi chimici, diserbanti e cc.dd. presidi sanitari vari); il legame dell'allevamento (anche senza terra) con prodotti di base (foraggi, insilati ecc.) ottenuti dall'agricoltura biologica impedisce l'inquinamento della catena alimentare animale e incide sulla catena alimentare dei prodotti destinati al consumo dell'uomo. La tutela immediata e diretta del consumatore è evidente e la logica che pre-siede alla stessa è quella della tutela preventiva: la responsabilità civile per danni da prodotto troverà il suo fondamento nella condotta del produttore difforme dal modello conformativo che è quello dell'agricoltura biologica. Il diaframma fra scienza del diritto agrario e diritto agrario positivo va eli-minato attraverso opportuni interventi del legislatore che diano consistenza giuridica a quel modello. L'imprenditore agricolo biologico, come è stata definita di recente12 questa figura di nuovo «produttore», da un nuovo contributo al dibattito in corso sull'etica dell'impresa: è una recente legislazione regionale in via di forma-zione che anticipa, questa volta, gli interventi del legislatore nazionale. L'azienda biologica (senza scorte ...chimiche) utilizza le tecniche agricole biologiche - si legge in una recente legge della regione Lazio - e cioè « tutte quelle metodologie di lavorazione del terreno e coltivazione di specie vegetali che operano nel rispetto dell'ambiente, proteggono il suolo dall'erosione e dal depauperamento degli elementi nutritivi, basandosi sulla rigenerazione permanente della frazione vivente del suolo, consentono di mantenere l'equilibrio della biosfera grazie alla conservazione della sostanza organica, favoriscono le rotazioni colturali, utilizzano una concimazione minerale non di sintesi, una concimazione organica maturata o compostata, favoriscono l'uso e la selezione delle varietà vegetali naturalmente resistenti alle malattie, non utilizzano pesticidi e fertilizzanti che possono risultare dannosi per l'ambiente e la salute dei produttori e dei consumatori, favoriscono l'uso dì metodi di lotta biologica ».
5. Le considerazioni di cui sopra consentono un approccio al tema della responsabilità del produttore agricolo sicuramente nuovo e tale da porre in discussione la scelta del nostro legislatore. Gli aspetti che emergono dall'attuazione della direttiva sono due: il prodotto agricolo è considerato naturale per il solo fatto di non essere sottoposto a trasformazione; il produttore e cioè il «trasformatore» risponde a titolo di responsabilità oggettiva anche quando il prodotto base e cioè il prodotto agricolo «naturale» tale di fatto non è13. È evidente che, nella prima ipotesi, l'immissione diretta sul mercato del pro-dotto c.d. naturale da parte dell'agricoltore o allevatore esime quest'ultimo dalla responsabilità a titolo oggettivo ma non anche dalla responsabilità per colpa sulla base dell'art. 2043 e.e. e l'onere di provare detta colpa incombe sul danneggiato anche quando - secondo la prassi giurisprudenziale in tema di prodotto industriale14 - il danneggiato non è il diretto acquirente ma con-sumatore - subacquirente come accade nella generalità dei casi. La predetta conclusione che in materia di prodotti agricoli non ha - a quanto ci consta - precedenti giurisprudenziali, può valere anche per i prodotti della c.d. agricoltura biologica? Qui si imporrebbe, a nostro avviso, la regola comunitaria della responsabilità oggettiva. Le ragioni di tale conclusione sono identiche a quelle che hanno condotto il legislatore comunitario alla scelta del regime di responsabilità oggettiva e già messe in luce dalla dottrina15: la mancanza di sicurezza che il grande pubblico dei consumatori può legittimamente attendersi non trova riscontro per i prodotti biologici provenienti dall'azienda che ha ottenuto il riconoscimento della qualifica di azienda agricola biologica (v. art. 8 della cit. 1. Regione Lazio). Ma può la legge regionale imporre la regola della responsabilità oggettiva e contraddire quella della irresponsabilità, a questo titolo, recepita a livello nazionale? Il quesito ha vari risvolti che qui non è il caso di approfondire. Anche la seconda ipotesi di cui supra merita però qualche considerazione dal momento che nella legislazione regionale \\favor di cui si diceva è esteso alle «industrie che trasformano prodotti dell'agricoltura biologica» e a condi-zione che utilizzino particolari tecniche di trasformazione e conservazione (v. all.to C alla l.r. del Lazio e l'art. 13 del Progetto di 1. della regione Liguria cit. supra alla nota 12) nonché, per il confezionamento, particolari contenitori16 e contraddistinguano, nell'atto della messa in commercio, i relativi prodotti con un marchio di qualità che oltre all'indicazione prodotto biologico contenga altre indicazioni.