... continua "TUTELA DELL'AMBIENTE E AGRICOLTURA BIOLOGICA: NOTE SUL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITÀ DA PRODOTTI AGRICOLI"
Per gli eventuali danni da tali prodotti, per i quali varrebbe il principio di re-sponsabilità oggettiva, la disciplina del D.P.R. 224/'88 dovrebbe trovare in-tegrale applicazione. Alcuni problemi si pongono tuttavia con riferimento alle cause di esclusione della responsabilità previste dall'art. 6. La causa prevista dalla lettera d) di detto articolo e cioè la « conformità del prodotto o a una norma giuridica imperativa o a un provvedimento vincolante», oltre a prospettare un problema di disparità di trattamento col produttore non biologico, offre materia di discussione in ordine alla inefficacia od omissione dei controlli da parte della Pubblica amministrazione, controlli previsti nella regolamentazione regionale dell'agricoltura biologica. Interferente con tale problema - la cui soluzione dovrebbe essere quella di una responsabilità quantomeno concorrente17 della P.A. - è quello dell'eventuale danno am-bientale discendente dalla non conformità della condotta dell'imprenditore biologico alle prescrizioni da osservare perché la sua azienda biologica sia ammessa al trattamento di favor previsto dalle leggi regionali. Sull'argomento dei rapporti fra responsabilità per danno ambientale e per danno alla salute si tornerà infra al § 7; qui si può sottolineare che dalla fattispecie in parte tipizzata18 dell'art. 18 della legge n. 349 del 1986 la «violazione di di-sposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente» - come quelle di cui alle citt. 11.rr. - sarebbe già di per sé idonea a rappresentare la colposità della condotta dell'imprenditore19 fatte salve, ovviamente, le altre sanzioni che le leggi regionali prevedono per l'inadempienza di quest'ultimo. La causa di esonero da responsabilità di cui alla lettera e) del cit. art. 6 non dovrebbe funzionare con riferimento ai prodotti biologici atteso che le prescrizioni cui è vincolato il predetto imprenditore sono in funzione della protezione preventiva dell'ambiente e dei danni alla salute, conseguenze en-trambe ormai sicuramente addebitabili, già allo stato delle conoscenze scien-tifiche attuali20, all'agricoltura non biologica. Per quanto riguarda la causa di esclusione della responsabilità di cui alla lett./) del cit. art. le due ipotesi ivi previste potrebbero porre il seguente pro-blema: sia nell'ipotesi di «materia prima» (il prodotto biologico da trasformare) fornita dall'imprenditore biologico al «trasformatore», sia nell'ipo-tesi di materia prima prodotta « in conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che l'ha utilizzata» (ipotesi ricorrente nei contratti cc.dd. agro industriali21 di cui alla 1. n. 88 del 1988) dovrebbe prospettarsi, oltre alla responsabilità contrattuale dell'imprenditore biologico nei confronti del «trasformatore», la stessa responsabilità diretta di quest'ultimo nei con-fronti dei terzi consumatori secondo i canoni del diritto comune (v. supra).
6. La c.d. agricoltura biologica da inoltre lo spunto per precisare, essendo non poca la confusione al riguardo, le stesse nozioni di prodotto naturale e la non coincidenza di questa, così come il nostro legislatore la utilizza sulla base della direttiva comunitaria, con quella desumibile dalle citate leggi regionali sull'agricoltura biologica. La diversità delle nozioni influenzerà ovviamente l'area del danno risarcibile e della responsabilità contrattuale. È noto che per prodotto « naturale » la Comunità intende quello derivante dall'agricoltura tout court come si è già accennato in precedenza; la direttiva comunitaria presume che detto prodotto, proprio perché non manipolato, sia naturale e quindi non difettoso secondo la terminologia propria di una contrapposizione fra industria e agricoltura che ha perduto invece, sotto questo profilo, a causa dell'industrializzazione (chimicizzazione) di quest'ultima, gran parte della sua valenza discriminatoria. Il presupposto da cui muove il legislatore comunitario, è quindi, anche allo stato delle attuali cognizioni scientifiche, sicuramente non verosimile e ciò giustifica la discrezio-nalità della deroga affidata agli Stati membri. Ma di ciò si è già detto, con la conseguenza della dubbia ragionevolezza e opportunità della scelta com-piuta dal nostro legislatore. Qui si intende, invece, sottolineare la non coincidenza nell'ambito della legislazione di settore fra prodotto naturale e pro-dotto genuino22 con la conclusione cui è pervenuta una dottrina e che cioè il prodotto «genuino» può non essere naturale «in senso tecnico» mentre il prodotto naturale dal punto di vista scientifico è sempre genuino. Evidentemente la nozione di prodotto «naturale» della legislazione comunitaria coincide, per le ragioni sopra esposte, con quello di non genuino. Ben diversa la nozione di prodotto biologico che è sempre naturale nel senso scientifico del termine e quindi genuino. Ciò giustifica parzialmente la scelta comunitaria nel senso della responsabilità oggettiva del «trasformatore» e quindi dell'impresa agro-industriale di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. Dal punto di vista dell'ordinamento interno questa, infatti, non partecipa all'«agrarietà», cioè è imprenditore commerciale e la sua produzione è industriale e non agricola. Né la conclusione cambia, dal punto di vista del legislatore comunitario, allorché le fasi della trasformazione e commercializzazione dei prodotti siano imputabili all'impresa qualificabile come agricola dal punto di vista del nostro ordinamento interno (ad es. una società cooperativa). Lo spunto per cogliere l'essenza del «prodotto biologico» può essere offerta da una sentenza in tema di frodi alimentari23 con la quale si contrappone una non genuinità naturale alla non genuinità formale o legale; la produzione agricola biologica rientra nel concetto di «genuinità naturale». Ciò risulta anche dalle leggi regionali in discorso che intendono preservare le « caratteri-stiche naturali » del prodotto anche attraverso la salvaguardia del « patrimonio genetico di razze animali e di specie vegetali o cultivar tipiche della regione » e con « la fecondazione e selezione naturale fra capi di aziende biologiche», puntando così alla «qualità dei risultati» e prescindendo dalla quantità e dalla forma e dall'aspetto estetico del prodotto24. La mancanza di quelle caratteristiche naturali, rileva, quindi, per il fatto che su di esse si fonda l'affidamento del consumatore e quindi la sua sicurezza secondo il linguaggio del legislatore comunitario sì che un sistema di responsabilità oggettiva per danni causati da tali prodotti sarebbe più coerente con la stessa più recente regolamentazione comunitaria che punta sull'agricoltura biologica destinata a diventare un criterio selettivo e regolatore degli stessi rapporti concorrenziali nel nostro settore.
7. Occorre, infine, accennare alla funzione che l'agricoltura biologica svolge in relazione alla protezione dell'ambiente in generale per inferirne al-cune considerazioni in ordine alla responsabilità per danno ambientale sicu-ramente presente allorché l'imprenditore biologico non si conforma ai para-metri normativi di cui alle leggi regionali richiamate. Allo stato attuale, infatti, senza la predisposizione di un apparato normati-vo-amministrativo che in generale, avente per destinatari tutte le imprese agricole indistintamente, abbia la funzione di riportare la soglia di tolleranza ai limiti naturali della risposta fisiologica soggettiva di ciascun consumatore al prodotto agricolo naturale e trasformato, non potrebbe addossarsi all'imprenditore agricolo, autorizzato dalle stesse «norme vigenti» all'impiego di sostanze tossiche, una responsabilità ai sensi dell'art. 18 della 1. 344/'86 per la compromissione dell'integrità ambientale salvo che egli abbia colposamente o dolosamente superato la nota e diversa soglia di «tollerabilità» legale.